Come il cibo si è mangiato la città
“Purché riaprano i Murazzi, va bene tutto!” Sembra questo il pensiero prevalente nelle discussioni tanto pubbliche su giornali e mass media, quanto private tra amici, solitamente accompagnate da un ricordo di quanto fossero belli, diversi e irripetibili quelli della nostra epoca.
Ma andiamo con ordine: puntuale come la primavera a febbraio, è ricomparso come ogni anno il dibattito sulla necessità di riaprire i Murazzi, un po’ per esigenze turistiche un po’ per creare uno sfogatoio dove far confluire la massa di giovani che reca disturbo ai residenti delle zone gentry torinesi.
Si tratta del fenomeno della cosiddetta “malamovida” (neologismo che riesce a essere peggio di “movida”), che si vuole contrapporre alla “buona movida” (forse dovremmo smetterla di seguire i trend linguistici mainstream) da far rinascere in altri spazi della città, vedi i Murazzi e Borgo Dora nel caso di Torino.
A tal proposito vi è stata una discussione in Commissione consiliare venerdì 18 febbraio, sulla base di una mozione che invita direttamente alla riapertura dei Murazzi:
“DISCOTECHE NO!”
ammonisce subito la destra torinese, “perché quelle creano problemi”. Questo è il tenore del dibattito politico: certo vi è stata una levata di scudi di fronte a questa visione oscurantista e limitativa, ma il livello degli interventi non si discosta molto dai terribili neologismi di cui sopra.
Molto più interessante è invece la descrizione tecnica dei bandi, che spiegano meglio di mille parole il Murazzo che sarà: su quattro tipologie di arcate, tre vietano espressamente le attività di pubblico intrattenimento. “Vi sarà una destinazione e utilizzo più esteso rispetto alla situazione precedente” riferisce la referente tecnica del Comune, “per dei Murazzi vivi e vivibili anche di giorno. Solo un numero ristretto di arcate potrà fare intrattenimento…e quindi destinate al ballo”.
Difficile rendere più banale un tema che è certamente complesso, dove si incrociano economia notturna, trasformazioni dei quartieri, creazione di zone-ghetto da trasformare in divertimentificio mentre le città lottano per attrarre studenti universitari, possibilmente danarosi (vedi proliferare di studentati privati ovunque).
Attenzione però, perché i giovani devono sì venire a vivere a Torino, ma devono ricordarsi nel contempo di uscire la sera con decoro e compostezza, e possibilmente senza tirare troppo tardi, diamine!
“La movida è una risorsa economica, sociale e turistica da valorizzare” è stato detto nell’anfitrione politico, ed è la perfetta sintesi della concezione imperante in quest’ambito: non c’è spazio per la cultura, per i concerti o per il ballo, non c’è coinvolgimento dei soggetti che la notte la vivono, e soprattutto non c’è spazio per la critica e la discussione del modello imperante.
La notte è consumo, è generazione di economie, è profittabilità che bisogna mettere in moto, null’altro. Non a caso anche sul lungofiume più iconico d’Europa, per (s)fortuna del nostro collettivo, sarà il cibo trasformato in food a dominare la scena.
Parallelamente ai lavori pubblici che vanno avanti con tempistiche incerte, il tratto privato delle arcate ha infatti già lanciato il suo progetto: ai Magazzini Devalle nascerà il PORTO URBANO, per un gioco di parole che rimanda al mare ma che si affaccerà tristemente su un fiume Po che quest’anno ha toccato il record storico negativo di siccità.
E cosa ci sarà in questo nuovo spazio super-smart? Ma è ovvio, FOOD! Anzi FOOD&BEVERAGE per citare direttamente le dichiarazioni entusiastiche degli imprenditori coinvolti: il progetto verrà affidato a EDIT, la stessa società che pochi anni fa negli spazi dell’ ex INCET di Via Cigna pensò di “riqualificare” la periferia con uno spazio enorme dedicato al food, alle birre artigianali, al co-working e a tutte quelle attività destinate a una classe sociale e culturale che non ne ha voluto sapere di superare le colonne d’Ercole delle zone più centrali della città.
Dopo anni in bilico tra fallimento e sopravvivenza economica della sua sede in periferia, ora EDIT ci riprova ai Murazzi.
Certo sarà più facile avere successo con un progetto nel cuore della città, nel luogo più famoso di Torino a livello internazionale: sarà un profluvio di grandi eventi e cultura del food che si incontreranno nei dehors sul fiume, per una smart city pronta ad accogliere quanti più turisti possibile.
Nel frattempo il Sindaco Lo Russo ha annunciato che per il grande evento di intrattenimento musicale Eurovision, in programma a maggio, i Murazzi verranno riaperti per “ospitare le attività culturali e ricreative legate alla kermesse”: non si esce dalla logica dei grandi eventi e dell’attrattività insomma, con buona pace di chi vorrebbe immaginarsi una città che non sia costantemente focalizzata sul consumo enogastronomico come unica risorsa in grado di dare una visione di futuro urbano ai suoi cittadini.
Qualche articolo da leggere:
Quale miglior presente di fine anno avremmo potuto farvi se non una bella analisi dei dati statistici sul 2019 della città di Torino? Vorrete mica dirci che avreste preferito un paio di guanti?
Noi purtroppo siamo più noiosi della nonna che fa sempre lo stesso regalo a Natale, per cui approfittiamo dei bilanci delle feste per fare una analisi più approfondita (e concisa) possibile sullo stato di salute di Torino, vedendola dal punto di vista che è più consono ai nostri temi: la glorificazione del positivo andamento turistico, messo a confronto con i dati economici complessivi e con la distribuzione della ricchezza prodotta.
Il futuro è il food. Questo il claim dell’Associazione “Torino Piemonte World Food Capital”, nata pochi mesi fa con l’obiettivo “di trasformare il Piemonte nel maggiore riferimento internazionale in ambito food.
“Ciao ragazzi, benvenuti a Bologna: qui c’è il vostro piatto del pranzo solidale, questa è la piazza in cui vi esibirete con Foodification, lì e lì ci sono camionette e polizia. Benvenuti!”
“Smart! che cazzo vuol dire?!” Mi urla contro il barista brandendo lo smartphone mentre cerca di capire se l’app abbia processato il pagamento di un teenager giunto per l’happy hour. Io rido, lui impreca e più lui impreca, più io rido.
Con Amazon Fresh la spesa è un sacco veloce”:
questo il claim che è comparso in questi giorni sui bus torinesi per annunciare,
col classico gioco di parole tipico del food, l’arrivo di questo servizio anche nella nostra città.
Il colosso entra a gamba tesa nel mondo della spesa a domicilio,
con una grafica green accattivante, e con prezzi e tempi di consegna al solito molto vantaggiosi per gli abbonati.
Il professore contava uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette mail ricevute da quando aveva messo sul fuoco la moka ed era andato a pisciare a quando era tornato al tavolo.
Uno degli aspetti insieme più ridicoli e inquietanti di questa epoca così social sono i tweet, i post, le dirette Facebook che ci regalano i nostri rappresentanti politici o aspiranti tali.
La città vivrà all’aperto, ma di che cosa? C’è vita dopo il turismo?
“Crisi significa opportunità”: quante volte l’avete sentito nel corso del lockdown?
E quanti accorati appelli all’ uscire ”diversi” da questa crisi avete letto?