Vittoria

16.02.2022

“Smart! che cazzo vuol dire?!” Mi urla contro il barista brandendo lo smartphone mentre cerca di capire se l’app abbia processato il pagamento di un teenager giunto per l’happy hour. Io rido, lui impreca e più lui impreca, più io rido. 

Tony prima di avere il bar era proprietario di un locale di musica dal vivo e i pochi inglesismi che tollera sono appunto live, sold-out e sforzandosi, backstage. Anche a me gli inglesismi non sono mai piaciuti più di tanto. Da piccolo inizi a dire weekend, a usare il mouse, a fare un cross e in men che non si dica ti presenti a un quiz televisivo a trasformare la statua del primo re israeliano in quella di “Deivid”, un aitante inglese appena uscito dalla doccia. 

 

Tony è un bravo barista nonché un chiacchierone, ma è anche e soprattutto tremendamente testardo e queste due componenti in certe giornate generano infinite polemiche senza capo né coda. Che anche secondo me la maggior parte degli inglesismi siano superflui credo di averglielo già ripetuto sette o otto volte, ma conoscendolo so benissimo che abbiamo raggiunto il punto di non ritorno. Non c’è infatti più spazio per il dialogo, ha smesso di salutare i clienti e sta gesticolando con ferocia verso di me.

 

“Flyer! Che cazzo vuol dire flyer?! Non puoi dire volantino?!”. Rinunciando a qualsiasi replica provo almeno a fargli notare quella ragazza che da dieci minuti cerca di attirare la sua attenzione per ordinare, ma niente, lui continua: “Vent’anni fa la gente faceva jogging adesso fa running, ma che cazzo cambia?! Non può andare a correre e basta?!” Dall’angolo Luca, ancora in abbigliamento tecnico, alza il dito per prendere parola, poi incrocia il mio sguardo, abbassa la testa e torna a occuparsi del suo cocktail analcolico. 

 

Tutti gli abituali del Santo Bevitore sono stati vittime almeno una volta dei monologhi di Tony e tutti alla fine, un po’ per educazione, un po’ per evitare uno scontro fisico, hanno finito per soccombervi. Tutti, tranne una: la Signora Vittoria.

La prima volta che la vidi, così mansueta, seduta al tavolo d’angolo nei suoi vestiti disordinati, pensai che fosse semplicemente una vecchietta un po’ stramba e fuori contesto. Di certo non immaginavo che sarebbe stata in grado di tenere botta agli sproloqui di Tony, né tantomeno che sarebbe stata la sola a riuscire a metterlo all’angolo. 

 

Ottantenne, vedova e con un figlio ormai grande e lontano, la Signora Vittoria era un concentrato di energia che da decenni si riversava per quelle vie, prima nel ruolo di maestra elementare poi partecipando attivamente ad associazioni di quartiere. A queste attività sociali si sommavano delle strampalate iniziative personali nelle quali, chissà perché, era solita tentare di coinvolgere il suo barista preferito. 

Una volta si mise in testa di aiutare uno sconosciuto quindicenne nel registrare un album rap e la trovai al bar con un biglietto da visita in mano che chiedeva a un esausto Tony quanto, secondo lui, sarebbe costato “far cantare questo ragazzo”. Fu la prima volta che vidi il bancone circondato da clienti in attesa di ordinare non perché fosse Tony a molestare qualcuno, ma perché lui stesso ne fosse vittima.

 

Sorrido ripensando all’episodio e in omaggio alla Signora Vittoria mi lascio andare, mi faccio paladino della povera ragazza che ancora non è riuscita a ordinare e decido di provocare Tony. “E allora derby? Toro-Juve come lo chiameresti se non derby?”. Alla domanda segue qualche decimo di secondo grazie al quale la studentessa riesce ad attirare l’attenzione del barista e a ordinare. So che non durerà molto, Stefano infatti non fa in tempo a battere il suo bicchiere contro il mio che Tony è di nuovo rivolto a me anzi, a noi, e ignorando la mia osservazione sta prendendo a parlare dell’uso degli inglesismi come inganno per il demansionamento in contesti lavorativi.

 

Tony non è uno che ti dà ragione, non perché sia orgoglioso, ma perché quando la modalità è quella del monologo polemico sa che concordare chiuderebbe l’argomento, quindi molto semplicemente ti ignora.

In questo la Signora Vittoria era una fuoriclasse, anche se su certi temi andava oltre e fingeva di non capire per dare sfogo a tutto il suo ardore. La scorsa estate incappai in un esasperato Tony che allestendo il dehors subiva gli improperi della Signora Vittoria che gli urlava contro di “farsi furbo” reggendo con la mano i giganti occhiali che nella concitazione minacciavano di caderle dal naso. Stavano parlando di politica, da quanto mi sembrava di capire, e Tony guardandomi negli occhi mi disse che era “un’ora che diciamo la stessa cosa, ma non lo vuole capire”. 

Lei a suo modo era in grado di annichilirlo e lui col tempo aveva imparato che in sua presenza era meglio abbandonare le polemiche e immergersi nel lavoro o quantomeno intrattenersi su argomenti personali nei quali lei non si potesse insinuare.

Così, mentre Tony è passato all’uso degli inglesismi in economia, io che ho avuto una giornata pesante e vorrei solo bere una birra in santa pace: il mio sogno è che da quella porta spunti la Signora Vittoria pronta ad asfaltarlo. Tento di distrarre Tony dicendogli che il ghiaccio per il cocktail della ragazza si sta sciogliendo a forza di parlare, ma non mi ascolta e continua a lamentarsi di “competitors” e “mission”. Stefano prova a dargli battaglia, gli chiede come tradurrebbe “budget” ma lui svia a suon di “performance”, “vision”, “meeting”, pronunciati con crescente intensità e io, schiacciato da cotanta veemenza, mi arrendo, perché so che da quella porta la Signora Vittoria non entrerà né oggi, né mai più.

Una delle ultime volte che la vidi stava urlando con voce rotta e sembrava fuori di sé. Tony era dietro al bancone in silenzio e io mi sedetti senza disturbare. “Dimmi te se devono mandarmi via per fare entrare gli studenti e prendere più soldi? E io devo andare a stare là, ché qua costa troppo e non posso più vedere nessuno!” Tony era visibilmente preoccupato e dispiaciuto, va a finire che quei due sempre intenti a litigare alla fine si volevano pure un po’ bene, pensai. A ogni modo la situazione della Signora Vittoria non era idilliaca: il contratto d’affitto del trilocale in cui viveva era in scadenza e il padrone di casa da qualche tempo aveva preso ad affittare i suoi alloggi a studenti fuori sede e il prossimo sarebbe stato il suo. “Certo, io lo pago 400 euro al mese, quello ci mette dentro tre studenti e gli fa pagare 300 euro ciascuno”. 

Il quartiere era cambiato radicalmente da quando Vittoria aveva smesso di insegnare. Poco tempo dopo di lei era andata in pensione anche la sua amica panettiera, il ferramenta aveva tirato le cuoia e con lui era sparito anche il suo negozio, e così via molte altre botteghe della zona.

Al loro posto aprivano bar, ristoranti, locali notturni, ma soprattutto a poche centinaia di metri da casa di Vittoria l’Università aveva aperto un gigantesco campus su una superficie di dieci mila metri quadri. I suoi vicini da vecchi bottegai del quartiere in pensione si erano trasformati in giovani casinisti provenienti da tutta Italia. Ma diciamocelo, alla Signora Vittoria tutto questo non dispiaceva, aveva ancora parecchie amiche con le quali passare del tempo nel quartiere e in più aveva anche la possibilità di mischiarsi ai giovani che affollavano quei nuovi locali. Tutto questo però aveva un prezzo e sono convinto che lei in fondo l’abbia sempre saputo e ora che era il suo turno, come d’incanto, tutti i nodi le venivano al pettine. 

“Una volta c’erano quattro panetterie, adesso solo bar che sono aperti solamente di notte e non sai neanche dove andare a prendere un caffè con le amiche. Di giorno è tutto chiuso, non vedo già quasi niente e devo camminare dieci minuti per prendere da mangiare, che è anche venuto caro”. 

Tony abbassò lo sguardo, forse erano anche lui e il suo locale responsabili di tutto questo? 

Forse ero anche io “giovane casinista frequentatore di quei locali” corresponsabile? “E io adesso devo andare ad abitare là, a dieci kilometri di distanza che non conosco nessuno e non so cosa fare”. 

Era la prima volta che la vedevamo così arrabbiata e impotente, non sapevamo cosa dire e l’unica cosa gentile che potè fare Tony fu offrirle una tisana che però la signora rifiutò perché aveva “ancora da salutare tante persone”. Inutile dire che quella sera al bancone non si parlò d’altro. Il quartiere adesso era indubbiamente più bello, meglio frequentato, paradossalmente ora che c’era più concorrenza Tony guadagnava meglio di prima, ma ogni volta che pensavamo a Vittoria erano unghie che stridevano su una lavagna. Ognuno diceva la sua, c’era chi aveva letto, visto, detto e scritto, c’era il pessimista, l’ottimista, il fenomeno che sapeva tutto e l’astenuto, il qualunquista e l’immancabile radical chic che aveva sempre una definizione inglese per tutto, compresa quella roba che stava mandando via Vittoria il cui nome dimenticai per snobismo all’incontrario. 

Fatto sta che rividi Vittoria solo un altro paio di volte al bar, silenziosa, seduta al solito tavolino d’angolo col suo solito latte macchiato, più cupa che mai. Poi basta.

Sono passati mesi e al suo tavolino oggi vedo quella ragazza che ha finalmente ricevuto il suo cocktail da Tony. È carina, ben curata, porta anche lei vestiti disordinati ma firmati, ha uno smartphone molto diverso e più complicato del telefonino portatile di Vittoria e una cover con su scritto “I cuore Berlin”. 

Stefano intanto provoca Tony incalzandolo: “Dj! Come lo traduci DJ?! Blog! Blog come lo traduci?!” 

Io cerco l’inglesismo mancante, quello intraducibile giusto per fargli dispetto. 

“Bunker?! Il bunker è il bunker! Come lo dici in italiano?”

Tony barcolla, ma non cede e risponde con la tripletta: “Break! Standbye! Match!”

Mi serve una roba inattaccabile per mandarlo a tappeto.

“E lo zoom?! Il link?!” continua Stefano, Tony è in difficoltà, non sa come controbattere, io provo a pensare a cosa avrebbe fatto Vittoria per stenderlo, ma non devo pensare a cosa farebbe lei bensì a cosa è capitato a lei e a come la chiamava quel tizio con la barba e i tatuaggi che snobbavo volontariamente e d’improvviso ecco che c’è l’ho: 

“GENTRIFICATION!!!”

Tony smette di asciugare il bicchiere, Stefano mi guarda “che cazzo è?”. Indico il tavolino all’angolo e dico: 

“È quella roba che ha cacciato una insegnante pensionata ottantenne in cambio di una ventenne firmata che tra un paio d’anni emigrerà a Berlino con i soldi di papà!” 

Tony non sa più come controbattere, abbiamo vinto, Stefano alza il bicchiere e insieme brindiamo: “VITTORIA!”

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